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LA GIURIA
(RUNAWAY JURY)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 1 marzo 2004
 
di Gary Fleder, con John Cusack, Gene Hackman, Dustin Hoffman, Rachel Weisz (Stati Uniti, 2003)
 
Gary Fleder (IL COLLEZIONISTA, IMPOSTOR) aveva scimmiottato finora gli abituali modelli passe-partout (SEVEN, IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI). Ma le vie del cinema essendo quasi infinite, è un grosso sbaglio snobbare questo suo ultimo LA GIURIA.

Per l'urgenza del tema, una volta tanto, la condanna dei fabbricanti d'armi. La scommessa impossibile del volenteroso, civilissimo quanto un po' sdrucito avvocato (Dustin Hoffman, straordinario di routine) che viene assunto dalla vedova della vittima dell'ormai solito psicopatico: incastrare non solo la lobby onnipotente, che oltre tutto si fa scudo di un famigerato secondo emendamento della Costituzione americana. Ma controbattere le mosse del consulente che i potenti si sono assicurati per parare ad ogni evenienza: il solito, efficacissimo cattivo Gene Hackman, specialista in quegli ascolti clandestini così ben appresi in LA CONVERSAZIONE di Coppola, cinico filosofo in corruzione di giurati ed attività affini.

L'interesse di LA GIURIA esula quindi subito da quello del tradizionale impegno civico delle "legal movies", il film sul processo che conosciamo a memoria e che si costruisce sulle strategie in aula fra pubblica accusa ed avvocati della difesa; sulle sbavature che questi stratagemmi circensi finiscono per stingere sulle decisioni dei giurati (ricordate il grande Henry Fonda nella LA PAROLA AI GIURATI di Sidney Lumet?). No, tratto dall'altrettanto solito Grisham, LA GIURIA imbocca sorprendentemente cammini assai più originali. E si costruisce su un contrasto assolutamente stimolante.

Da un parte, gli schemi (estetici e morali) della tradizione umanista, di quell'avvocato così perbene che si affanna a spiegare agli onesti cittadini l'evidenza della diversità che corre fra il bene ed il male. Sorbendosi, come non bastasse, la sfottitura dell'apparentemente scafata controparte: " Ma non vedi che quelli aspettano soltanto di tornare a casa per sedersi davanti alla tivù?". Altrove, un gioco (ancora: estetico e morale) che è ormai tutt' altro. E' quello cinico e corrotto fino al midollo di una democrazia che non crede ormai più negli ideali sui quali si è costruita; è quello del Gene Hackman sprofondato nella clandestinità tecnologica delle sale di ascolto, dei sicari prezzolati per intimorire e saccheggiare. Il pragmatismo si è fatto ormai criminale: anziché perdere tempo, assai più sbrigativo e redditizio comperare e, eventualmente, eliminare.

E' alle spalle dei più o meno ignari cittadini che quel contrasto si costruisce. Se non fosse che…In questo film d'attori c'è anche il John Cusak (di MEZZANOTTE NEL GIARDINO DEL BENE E DEL MALE, HIGH FIDELITY), splendido modello di ambiguità e manipolazioni in tutta scioltezza contemporanea. Dietro i due marpioni, di quelle due concezioni ormai storiche della giustizia, Cusak rappresenta la maggioranza silenziosa, quella che non si rassegna a fare da sfondo. Altrettanto cinico e pragmatico, nel ruolo abituale quanto spettacolare dello scroccone internazionale. Sui due poli, ai quali se ne è aggiunto un terzo ancor più imprevedibile, e sul talento illustratore di Fleder (primissimi piani e ritmi di montaggio più che sapienti) è nato un film che al dilettevole ha cosi aggiunto un utile che riesce a far riflettere. E dite poco?


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